venerdì 21 novembre 2014

ARCOBALENO


In inglese rainbow...

Ci troviamo indietro di almeno più di una decina di anni. Un venerdì sera come tanti, se non sbaglio siamo a novembre, freddo, nebbia. Ore ... 22.30 circa. Quattro ragazzotti di circa vent'anni di belle speranze, che sprizzano ormoni da tutti i pori, stanno discutendo e chiacchierando in piedi un po' isolati dal resto della scena. La location forse è un po', come dire, retrò rispetto a quello che vedo in giro ultimamente. Si trovano a pochi passi dal bar dell'oratorio; luogo dove spesso si ritrovano da quando sono piccoli. Anche quella sera, prima di "andare in serata", sono lì dove sanno che troveranno "gli altri". Intorno a loro altri ragazzi più o meno grandi stanno bevendo una birra e chiacchierando o sono dentro il bar per riscaldarsi un poco. Ma ritorniamo a quei quattro.

Parlano del più e del meno: le ragazze, la partita della domenica, la scuola. In realtà ciò che li preme più di tutto è cosa fare da lì a poco. Quella sera non va bene niente: quel locale non mi piace, a ballare non ho voglia, dall'altra parte andiamo sempre. Niente da fare, non si riesce a trovare nessun accordo sulla serata.

Dall'ingresso dell'oratorio si intravede la sagoma di un ragazzo in arrivo. Lui è più grande dei quattro nostri protagonisti. E' un ragazzo che i quattro conoscono bene, ha qualche anno in più di loro. Non esce in compagnia con loro, ma ogni tanto ci si ferma a parlare, o a tirare quattro calci al pallone assieme il sabato pomeriggio. Comunque arriva all'altezza dei quattro e si ferma a chiacchierare. La sua proposta fa svoltare la serata: tutti d'accordo. Davvero? Ma si andiamo con lui sembra buona l'idea. E' vicino, c'è parcheggio, non rompono le scatole per l'abbigliamento, c'è buona musica. Si saluta e si parte, gli altri non vengono. Va bene lo stesso, noi ci andiamo.

Ore ... 23.30 circa.

I quattro ragazzotti parcheggiano. Ridono, scherzano. Aspettano il ragazzo più grande che arriva dietro di loro. Si guardano in giro, da lontano la sirena di un'ambulanza, lungo il marciapiede qualche persona che cammina guardinga. Dietro il parcheggio di un supermercato. Una breve pausa per scrutare l'ingresso del locale. Un passo e dentro. Sulla sinistra un bancone dove vendono il biglietto d'ingresso, davanti a loro i bagni, a sinistra una scala che sembra scendere in un sotterraneo. Al suo termine li attende un posto buio, poca gente, un paio di baristi che sistemano il bancone sulla loro sinistra. La pista da ballo, un palco sulla loro destra. Sui lati della pista tavoli, sedie ed i corridoi che vi ci portano. I muri sembrano sudare, ma che strana sensazione. Trovano un tavolino e vi ci siedono. Bevono qualcosa un po' titubanti. Dove sono capitati?

I minuti passano. Entra gente. Il locale si anima. La musica incalza. Qualche birra li rende più sicuri. Quel posto sembra che sia stato disegnato solo per loro fin da quando sono nati. 

Quel locale li trasformerà e non li lascerà più nell'anima ... e nel fegato. Da quel venerdì e per molti altri sarà solo Rainbow Disco Club Alternative Music. In quelle quattro mura ho conosciuto persone che non ho la minima idea se siano ancora vive ... vedi tal Papalo ... ho conosciuto skaters che dormivano in stazione aspettando il treno che li avrebbe portati a casa la mattina dopo ... ho conosciuto gente che mi ha fatto divertire ... vedi Miky del Rainbow ed il suo maledetto occhiolino.

Lì ho vissuto.

E ciò che è di fondamentale importanza, nonostante tutto, sono sempre tornato a casa ed adesso posso raccontarlo con un sorriso sulle labbra ed un sospiro di sollievo.

E le mie figlie? Cosa faranno? Faranno le stupide? Come posso arrabbiarmi con loro per ritardi, sigarette, sigarette farcite, sbornie, ecc ecc quando io stesso ... vabbè avete capito. E' giusto fare la parte del genitore severo quando basterebbe aprire il vaso di Pandora ed uscirebbero degli aneddoti che entrambe potrebbe usare benissimo contro di me per tutta la loro vita? Capelli viola, piercing. Mi fermo qui.

Si è giusto. E' giusto dare delle regole, è giusto fare capire a cosa si va incontro ed arrabbiarsi se sgarrano alle regole che gli si impone. E' giusto anche se nell'età della "stupidera" non mi interessava di niente e nessuno e l'unica cosa che mi interessava era divertirmi con gli amici. E' giusto che tra genitori e figli, anche instaurando il rapporto più fraterno possibile, i ruoli siano bene distinti: tu sei il figlio ed io il genitore. 

Ho detto a mia moglie che non farò la fine di quei padri che accompagnano le figlie sedicenni in discoteca e poi le rivanno a prendere alle quattro del mattino come dei bravi autisti. Ho detto a mia moglie che dovranno fare come abbiamo fatto noi: quando avranno la patente potranno andare. Con modi ed orari stabiliti da noi genitori.

Quante belle cose che le ho detto ... speriamo bene.

Saluti.

Simone Gavana

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sabato 8 novembre 2014

LA LUCE IN FONDO AL TUNNEL


Uno spiraglio nella follia ...

Era il 24 febbraio quando decisi di aprire il mio blog, era da un po' di tempo che l'idea mi frullava per la testa: cosa scrivere, come fare, avrà un seguito, come iniziare. Come per la maggior parte delle cose il detto "chi ben comincia è a metà dell'opera" ha sempre un senso. Ho cominciato con un post, credo, un po' forte. Le persone che hanno avuto il buon cuore di leggere il mio primo scritto hanno potuto comprendere che in me era presente un forte scoramento. Molta paura, tanta stanchezza e poca lucidità su quello che ci stava succedendo. 

Credo che avessi la forte necessità di urlare il più forte possibile. Di urlare fino allo stremo delle forze. Non avevo voce, però. Era strozzata in gola, bloccata dalla paura e dal terrore. Ero lacerato dalle lacrime e dai lamenti di mia figlia. 

Era necessario liberarmi. 

Ho voluto far subito sapere al mondo quale cruccio fosse per me e mia moglie quello che il destino ci stava riservando, ma soprattutto stava riservando a nostra figlia. Quello che stava accadendo alla mia famiglia di brutto. Oltre al presente, per me era terribile anche l'idea del futuro: che vita si sarebbe prospettata a mia figlia? E noi saremmo tornati ad avere un'esistenza più tranquilla? Davanti a me si prospettavano mesi e mesi di entrate ed uscite da ospedali, farmacie, laboratori di analisi, notti insonni, pianti.

Una crema, poi l'altra, poi quella che non va bene, poi quella che va bene. Un dottore dice una cosa, un altro l'opposto. Questo le fa male, questo bene, questo è veleno, quell'altro forse può mangiarlo ma prima dobbiamo vedere cosa le succede. E poi il cortisone, questo piccolo composto che è tanto miracoloso quanto è uno spauracchio. Non è troppo per due genitori che vogliono solo veder crescere le proprie figlie? Io e mia moglie non siamo due eroi.

Il tempo passa, esattamente nove mesi. Ne passa di acqua sotto il ponte in questo lasso di tempo. Senza accorgercene siamo diventati più sicuri, più consci di quello che ci stava accadendo. Più certi sul come comportarci, su come vivere il problema che avevamo, che abbiamo, davanti tutti i giorni. E soprattutto a non trattarlo come un problema perché altrimenti non ci avrebbe più lasciato. 

Il problema non ci ha lasciato, ma noi siamo ora più forti del problema. E come lo siamo diventati più forti? E' molto semplice: abbiamo trovato delle persone che ci hanno dato speranza, ci hanno incoraggiato, ci hanno seguito e ci hanno istruito su cosa aveva nostra figlia. E soprattutto su cosa potevamo fare per nostra figlia. Non abbiamo chiesto niente e loro invece ci hanno dato molto. 

Mi sono accorto che dalla prima volta che sono entrato in quell'ospedale sono cambiato radicalmente. La prima volta avevo quasi paura di guardarmi in giro, di avere davanti altri mamme e papà con lo stesso problema. In loro c'era tutto: il mio passato, il nostro presente ed il suo futuro. E senza accorgermene tutto è cambiato: ad uno degli ultimi controlli in ospedale sono andato senza mia moglie e mi sono reso conto di aver rincuorato e rassicurato una coppia di genitori che avevano un bimbo con il nostro stesso problema. Le persone spesso cambiano.

E poi tutto cambia ancora. Una dottoressa ti dice: "Credo e spero che non ci vedremo più, vi lascio l'impegnativa solo a necessità, se dovesse succedere qualcosa". 

Ora tocca solo a noi, ma ora abbiamo studiato da eroi. 

Saluti.

Simone Gavana

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