lunedì 11 agosto 2014

ORIGINI


Da qualche parte provengo anch'io ...

I miei genitori sono persone profondamente diverse. Sono persone che interpretano la vita, le relazioni interpersonali e la quotidianità in modi diametralmente opposti. Come diametralmente opposta è la loro origine. Sono figli di un periodo storico, gli anni a cavallo tra il 1960 ed 1970, che ha creato un solco indelebile nella società italiana dell'epoca e non solo. Crescono in un mondo in cui, a differenza di quello odierno in cui molte diversità si sono livellate, le differenze sociali sono fortemente marcate e la provenienza socio-culturale si fa sentire in maniera importante. 

Mio padre è il primo di cinque fratelli, ha origini da una famiglia proletaria ed operaia. Vive in un contesto non facile. E' una persona difficile direi: una di quelle persone che esprimono poco i propri sentimenti e che per cavargli quattro parole in più bisogna lavorarci ai fianchi per anni. Qualità, chiamiamola così, che mi è stata passata geneticamente. Descrivere il mio rapporto con lui non è semplice e non ho parole più concrete da dare. Pensandoci anni dopo mi sono dato questa definizione. Ci ho sempre visto come due rette parallele; che non si incontrano mai. In realtà la definizione geometrica è che si "incontrano all'infinito". Due entità che proseguono la vita sempre accostati, sempre vicini, ma che non si incrociano mai. Ho sempre creduto che mi capisse senza parole e ho sempre pensato di capirlo senza parole. Un giorno credo che arriverà anche "quell'infinito". 

Mia madre è secondogenita nata diciassette anni dopo la sorella maggiore, ha origini da una famiglia di agricoltori che per svariati motivi si è trasferita in paese. La sua vita è nettamente più agiata. E' una donna schietta e con pochi peli sulla lingua. A volte rude e spigolosa, credo che non vada a genio sempre al primo colpo, ma ha la grande qualità di risultare vera. Questa è una qualità che ho sempre apprezzato e con cui mi sono spesso scontrato. Il mio rapporto con lei? Amore ed odio. Come con mio padre, mia madre ha sempre cercato di tirarmi fuori sia il meglio che il peggio. Abbiamo due caratteri diversi e contrastanti. 

Si conoscono poco prima della maggiore età e si sposano presto. Mio padre aveva ventitre anni e mia madre ventidue. Un'età, che nel nostro periodo storico, è quasi impossibile vedere in qualche pubblicazione prematrimoniale. Arrivano al matrimonio alla fine degli anni '70, per la precisione a fine luglio del '79. Si affacciano alla vita coniugale alle porte di un decennio, gli anni '80, che hanno portato ricchezza e benestare al nostro paese. Hanno un lavoro stabile e sicuro, una casa, sono giovani e vivono in una società che è fortemente in crescita e soprattutto in un mondo che non rincorre se stesso in maniera folle come il nostro.

Pochi mesi dopo nasco io. Il più piccolo della famiglia, già perché nessuno zio, zia, cugino o cugina ha ancora avuto figli e mai ne avrà, per ora. Rimango tale fino alla nascita della mia prima figlia. Non ho fratelli ne sorelle. 

Ad un certo punto della mia vita ho chiesto ai miei genitori un fratello o una sorella, ma non sono mai stato accontentato. La cosa è passata senza che me ne accorgessi. Anni dopo, alla domanda "perché sono rimasto l'unico", la risposta che mi è stata data non è stata di facile comprensione. Ho cominciato a capire quando sono diventato padre.

Sono stati e sono tutt'ora dei genitori fantastici, ma fortemente apprensivi. Allo stesso tempo sono dei nonni meravigliosi e viziano in maniera scandalosa le mie figlie.

Quello che più mi rimarrà di loro è il rispetto che hanno delle persone e che spero di aver imparato e di saper trasmettere alle mie figlie. Ho sempre pensato che sia fondamentale nell'educazione di una persona.

Quello che forse ho più sofferto, per così dire, è stata la loro protezione da tutto ciò che avrebbe potuto farmi male.

Saluti.

Simone Gavana

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