venerdì 2 maggio 2014

CLAUSTROFOBIA


Senso di oppressione in spazi piccoli ...

Scena interna: stanza di ospedale, chiusi dentro senza possibilità di uscire, vedere uscire ed entrare persone, tua figlia che ti indica con insistenza la porta. Non puoi fare nulla.

Ogni tanto qualche infermiera entra e fa trangugiare a tua figlia qualche intruglio che chissà che effetto avrà!? Alle 10, alle 14, alle 16 ... 20 ... 22 ... 24. Nessun pensiero, nessun desiderio. Stringi a te il suo corpo stanco e la culli.

Arriva tua moglie, vi dividete la follia che aleggia nell'aria. In gioia ed nel dolore ci si era promessi. In salute ed in malattia. Le promesse si mantengono. 

Passano i parenti, i genitori che ti sostengono, che ti raccontano, che sanno cosa vuol dire soffrire per un figlio. Ma se ne vanno anche loro prima o poi.

La follia si trasforma in un racconto di King la notte. Buio, silenzio, luce al neon blu lungo i corridoi, una piccola lucetta sempre blu in camera. Qualche passo di infermiera che porta in giro i carrelli con le medicine per i pazienti. Rumore di ruote che cigolano. Tocca a noi. Il silenzio interrotto da un grido disperato di aiuto. Qualche minuto. Silenzio ancora. Qualche singhiozzo ancora. Il rumore delle auto lontane. 

A fatica arriva il mattino.

Odio il numero 19.

Odio gli struzzi.

Esco stasera, il mio turno è finito.

Saluti.

Simone Gavana

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